Heidi, la bimba dai mille volti

Le illustrazioni dei libri per l’infanzia veicolano anche un’immagine dell’infanzia a cui sono rivolti. La guerra decennale, che ogni tanto sembra rianimarsi, contro i cartoni animati giapponesi è una guerra contro un’immagine dell’infanzia lontana da quella che il mondo degli adulti europei voleva appiccicare alla propria prole opulenta. Ad esempio, sto sfogliando un libro sul mito di Heidi. Accanto alla pacifica immagine Myazakiana (prima da sin) – vestitino rosso e rosa, camicia gialla, gote rosee – scorrono le illustrazioni di copertina di molte edizioni del passato del libro di Johanna Spyri. E io mi chiedo quale sia l’idea di infanzia che avevano in mente queste persone. L’edizione tedesca del 1913 (sfondo rosso) sfoggia decorazioni da secessione viennese con una cupa solennità che sembra tuttavia preludere ai venti di guerra ormai imminenti. L’edizione Waldmann del 1917 (ultima a destra), ormai nel pieno della guerra, smentisce l’idea di una Svizzera neutrale; nell’ovale di copertina, circondata da cupe rune gotiche, si vede una Heidi trasfigurata, in versione pietra tombale o angelo da ossario alpino.

Sembrerebbe andare meglio con l’edizione del 1978 (prima da sin). Ma già il nome dell’editore, Diogenes, fa presagire la vocazione filosofica della copertina. Immagine in campo lungo, malinconica, esistenzialista, con un particolare inquietante, la bimba non si vede mai in volto, ma scruta orizzonti lontani. Il presagio di un’ombra d’aquila fa capire che gli echi dei malumori sociali sono arrivati anche lì. Ma dall’Italia ecco il colpo di Genio: l’edizione Mursia del ‘71 (al centro) mostra un nonno strettamente imparentato con Padron Vitali e con Fagin. Ne ha viste di cotte e di crude, e già medita di mandare Heidi e Peter a mendicare nelle vallate bergamasche. Saltiamo all’edizione Toray, Barcellona 1976 (ultima a destra). Il nonno è un vecchio saggio, forse un repubblicano esule sui Pirenei. L’aria triste e meditabonda è a malapena compensata dal sorriso di Heidi, più simile a una little miss da concorso americano che a una svizzera d’inizio secolo.

Ma è l’edizione norvegese a colpire con uno stravolgimento straordinario (prima a sin). Il nonno e la nipotina, in compagnia di una procace pin up bionda, sembrano tutto fuorché svizzeri: sono forse dei ricchi inglesi in gita tra i fiordi sul loro yacht. Il nonno, soprattutto, con il suo elegantissimo berretto a quadri scozzesi, ha l’aria di essersi staccato da una partita di golf per farsi un cicchetto al club. Heidi è già un’adolescente, come quella languidamente abbracciata al sedicente “nonno” in un’edizione israeliana, che richiama direttamente i capolavori italiani del morboso familiare con Laura Antonelli (seconda da sin). Sulla poeticissima copertina jugoslava del ‘70, (seconda da dx, difficile sbagliarsi) poco da dire: è bellissima, con quell’Heidi molto summer of love, capelli lunghi da dea dei boschi, decisamente adolescenziale, un po’ Eva eros-soft, con capretta fiori e passerotti. Uno potrebbe pensare che la sublime scuola di illustratori dell’est abbia colpito ancora. Ma siamo smentiti in modo tragico passando alla copertina russa del 1993 (prima a dx). Il comunismo è crollato, le ideologie pure. Rimane lo spirito del paganesimo: in copertina non c’è Heidi, solo una capra dall’aria malvagia, blasfema, satanica. In anticipo sul black metal folk, il male irrompe in Svizzera, in attesa dell’Armageddon. Altro che cartoni giapponesi, al confronto Devilman è Topo Gigio.

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