Pubblici deliri

Qualche giorno fa ascoltando Fahrenheit ho seguito con piacere un'intervista al critico Andrea Cortellessa su Alfabeta 2, rivista letteraria che contribuisce a redigere, e più in generale sul momento dell'editoria in Italia. Pur trovando interessanti ed in gran parte condivisibili le argomentazioni di Cortellessa ho ancora una volta avuto la sensazione che gli addetti di quel settore non vadano mai oltre un certo tipo di considerazioni, all'apparenza estremamente critiche col sistema ma, stringi stringi, diplomatiche nei confronti di tutti. Stesso discorso mi sento di farlo anche verso chi si occupa di cinema, teatro, arte e cultura in genere. Ogni volta sento precise elencazioni delle cose che non vanno in un determinato settore senza poi procedere ad un'indicazione di chi o cosa ha provocato questi problemi. Cortellessa confessa le sue perplessità sulla vera utilità dei festival letterari che, anche se animati da pregevolissime intenzioni, finiscono per essere una vetrina per gli autori che cavalcano l'onda della notorietà, acquisita certamente non per meriti letterari. Si viene così a creare un moto circolare uniforme per cui l'autore più richiesto (e pagato) dai festival è quello la cui faccia si vede d'appertutto, in tv e sui fustini del detersivo, in quanto richiama più pubblico e ciò lo rende ancora più famoso, ridando slancio all'intera operazione. In questo modo si può facilmente salire le scale dei festival, dalla sagra del libro di Pinzellacchere, passando per Pordenonelegge e approdando al mitico Festival della Letteratura di Mantova. E' implicita nel discorso di Cortellessa la considerazione che gli stessi festival dovrebbero dare più spazio ad autori significativi anche al costo di rinunciare ad una buona fetta di pubblico, tanto più che vengono finanziati copiosamente con contributi pubblici.
Mi spiace ma è un discorso che ho sentito già mille volte da chi si occupa e lavora con la cultura. Quello che non dice Cortellessa è che tutto il sistema dei festival costituisce un circolo chiuso, viziato già all'origine proprio a causa dei contributi che i festival ricevono. E' un rapporto diretto: i soldi che arrivano dai finanziamenti pubblici sono tanto maggiori quanto più la manifestazione ha visibilità sugli organi di informazione che a sua volta è direttamente proporzionale all'affluenza di pubblico. Quando si ha a che fare con la politica bisogna tener presente sempre due cose: tendenzialmente al politico non interessa nulla dell'aspetto culturale di qualsivoglia evento e che nessun politico si lascerebbe scappare la possibilità di farsi fotografare mentre stringe mani a intellettuali e gente comune. Il finanziamento è il prezzo elargito per il servizio che viene concesso.
Cosa si può fare? Intanto secondo me è ora di finirla di prendersela con quell'entità astratta e indefinita nota come il “Sistema della Cultura in Italia”. Non se ne può più di frasi come: “In Italia non siamo capaci a fare sistema”. Ma sistema de che?? A questo punto, se questa è la reazione, meglio fare nomi e cognomi, almeno ti togli delle soddisfazioni. Il problema è che poi in Italia non ci puoi più lavorare. Prendersela con i politici, le case editrici o meglio ancora con gli autori vipparoli è, benchè giustissimo moralmente, pericoloso e soprattutto inutile. Questi soggetti non hanno volontà propria, vanno là dove li porta il denaro. Per far partire un vero cortocircuito e mandare in tilt le piccole e grandi cricche, gli addetti dovrebbero cominciare a puntare il dito verso l'elemento imprescindibile di queste manifestazioni: il pubblico. Identifichiamolo.

Pubblico di massa. Collettivista. Sceglie chi e cosa andare a vedere sulla base di classifiche, trasmissioni televisive, premi estivi, rubriche della posta del cuore. Il pubblico di massa solitamente giura fedeltà eterna ad un autore, anche al rischio di ritrovarsi in situazioni imbarazzanti quando l'ispirazione dei tempi d'oro se n'è andata da un pezzo, emblematico in questo senso è il dramma dei fans di Vasco Rossi e degli U2. Il numero anche in questo caso fa la forza e il pubblico di massa si convince che nell'opere del suo diletto c'è ancora qualcosa di grande.
L'attenzione verso l'autore prescelto è assoluta e non lascia spazio per gli altri. Nessuna pietà soprattutto verso i giovani: scrittori emergenti che fanno conferenze davanti ai parenti, nuove band indipendenti che si beccano bottiglie da 2 litri in testa se hanno l'impudicizia di suonare come spalla al concerto dell'Artista, cortometraggi e documentari proiettati davanti a sale vuote. Non gli interessa il futuro, ama il passato e vuole che il presente lo rispecchi. E' questo il pubblico a cui si deve indirizzare un festival che NON ha interesse ad innovare e a far conoscere giovani talenti ma che si accontenta di avere un numero di presenze sufficiente a giustificare almeno un articolo su un quotidiano locale dove sia presente la locuzione “assessore alla cultura”.

Pubblico di nicchia (edizione Gran Riserva). Autarchico. Usufruisce degli eventi culturali orgogliosamente di propria iniziativa. Ripudia, almeno pubblicamente, ogni input proveniente da tv e giornali. Ammette però i consigli provenienti da Radio Tre e da internet, infatti bazzica tra forum e social network alla ricerca di propri simili ed è ghiotto di riviste di settore rintracciabili solo in anguste edicole di alta montagna. Nonostante questa linea di condotta, ferma e decisa, vive una perenne dicotomia. Vorrebbe che gli autori che apprezza avessero più diffusione e fossero con maggiore frequenza al centro di dibattiti e discussioni. Al tempo stesso è insofferente al fatto che le opere di quegli autori escano dai circoli ristretti che frequenta per approdare alla fruizione di massa. Prova repulsione per il pubblico di massa, che invece non si cura di lui, e quando può lo evita. A volte però non c'è via di scampo e il pubblico di nicchia viene circondato. Succede sempre quando l'autore sta oltreassando quel confine che separa la simpatica chiacchierata rediofonica con Marino Sinibaldi dall'intervista di Vincenzo Mollica al Tg1. Sebbene sia arrivato alla conferenza con mezz'ora di anticipo occupando in ordine sparso un ventesimo delle sedie disponibili, il pubblico di nicchia comincia ad avvertire l'accorrere costante di nuovi spettatori ed un fastidioso aumento della densità umana. Qualche minuto prima dell'inizio è ormai fagocitato dal pubblico di massa e comincia a lamentarsi della commercializzazione della cultura. Gli organizzatori dei grandi festival temono la presenza del pubblico di nicchia come l'attraversamento del gatto nero. Al contrario i piccoli festival coccolano furbescamente questo pubblico e piazzano all'entrata delle sale sibillini cartelli rivolti al pubblico di massa:”IO NON POSSO ENTRARE”. Il pubblico di nicchia ripaga negli anni con partecipazione e impegno.

Pubblico indie. Cerchiobottista. Emerso prepotentemente alla fine degli anni '90 ha avuto nel primo decennio del nuovo secolo il suo periodo d'oro. Possiede caratteristiche comuni al pubblico di massa e a quello di nicchia. Come quest'ultimo non è soggetto ai condizionamenti dei media tradizionali anche se non li evita, è il pubblico che ha fatto la fortuna delle nuove serie tv ad alto budget. Come il pubblico di massa anche il pubblico indie è felice quando si trova in mezzo a tanta gente. La considera una cosa positiva e ricca di possibilità, sa tanto di brodo primordiale, soprattutto d'estate. Il panorama culturale di questo pubblico va da la corazzata Potemkin a la corazzata Kotemkin è una cagata pazzesca. Possiede la cosiddetta “bocca buona” che nel corso degli anni gli ha permesso di recuperare anche il trash meno riciclabile, robe che perfino il pubblico di massa evita accuratamente e di cui il pubblico di nicchia ignora l'esistenza. Cultore della terza via, seguace del compromesso, dipendente dal citazionismo e adoratore di postmodernità. In definitiva è il pubblico senza preconcetti e aperto alle novità ma che bada anche alla sostanza e al valore dell'offerta culturale. E' il pubblico ideale per far crescere e rendere importante e utile ogni manifestazione a cui partecipa. Ha due soli difetti: è poco riconoscibile e si rischia di scambiarlo per una delle altre specie (chi lo conosce bene sa che di solito indossa mocassini e t-shirt con scritte simpatiche); rischia di trasformarsi autonomamente in massa o nicchia senza preavviso, soprattutto quando litiga con se stesso.

Pubblico della domenica. Presenzialista. Ci sono una quantità di motivi che riescono a convincere il pubblico della domenica a recarsi ai festival culturali: accompagnare qualcuno, buttarsi sui buffett, comprare suppellettili per l'arredamento (libri, dvd, dischi). Nessuno ha a che fare con l'aspetto culturale della manifestazione. Il motivo peggiore di tutti è quello di chi va ai festival perchè “era domenica, non si sapeva cosa fare, così siamo venuti qua”. E' il pubblico che, a parte un parcheggio, non chiede nulla perchè non si aspetta nulla: quello preferito dagli organizzatori.

Questi sono i padroni dei festival, non i politici, non gli editori e nemmeno gli artisti. Cominciare a capirlo, anche a costo di ridimensionare i propri progetti, sarebbe già una gran cosa. La scelta ancora una volta è degli organizzatori, su chi vogliono puntare?

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