Come l’Italia fece fuori il più grande clarinettista del jazz

Il documentario Io sono Tony Scott, realizzato da Franco Maresco, uno dei Ciprì & Maresco, è dedicato all'incredibile vita del clarinettista jazz numero uno al mondo, come lo stesso Tony Scott amava definirsi. La carriera di Anthony Sciacca, alias Tony Scott, ha la forma di un'iperbole: ad un inizio sfolgorante accanto agli altri grandi del bebop segue una discesa lenta e sempre più umiliante. Il documentario si apre con un'immagine desolante: Paolo Bonolis che, invece di rendere omaggio ad uno dei grandi musicisti del novecento, riesce a trasformare un'intervista a Tony in una sadica presa per il culo di un vecchietto un po' suonato. Nel 1970 Scott ha infatti la pessima idea di trasferirsi in Italia, un paese culturalmente arretrato e in cui perfino il jazz viene ideologizzato. Il mondo del jazz italiano si comporta come ci si aspetta: Tony viene da subito osannato, poi poco a poco emarginato, alla fine disprezzato ed evitato. Il documentario non è però agiografia, buona parte delle sfighe di Tony sono frutto delle sue ossessioni e delle sue manie di protagonismo che tendono a sopraffare chiunque tenti di stargli vicino. Non vengono nemmeno nascosti i problemi psicologici di cui soffriva e che trovano una possibile causa in uno strano e drammatico evento accadutogli in Indonesia alla fine degli anni '60. Il documentario merita una visione anche solo per la mole di materiale che Maresco è riuscito a recuperare. Unica pecca la lunghezza, qualche sforbiciata non influirebbe sull'interesse ma immagino che sia un compito duro cercare di contenere il racconto di una vita come quella di Tony Scott, il clarinettista jazz numero uno al mondo.


Chi voglia sentire Tony Scott suonare e lasciar perdere le ciance vada al minuto 1 e 56 secondi.

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