Sesso Bisati & Videotape

Tra qualche anno, quando Avatar sarà considerato il nuovo punto d’origine della settima arte e i film verranno proiettati direttamente nel cervello dello spettatore, un manipolo di prodi resistenti organizzerà proiezioni clandestine. Dovranno farlo in capannoni dismessi, in aree industriali in sfacelo, in aperta campagna. Saranno dei rave dove film del passato passeranno di occhio in occhio come pastiglie di ecstasy nella campagna inglese.

A un certo punto qualcuno vi affiancherà, promettendovi qualcosa di più forte. Il viaggio definitivo, quello da cui non si torna più indietro. La pillola rossa di Matrix. Voi seguirete il pusher nell’angolo più buio del capannone, o dietro la vecchia quercia, sul limitare del bosco. Il pusher, la pancia che sborda da un paio di vecchi pantaloni da ginnastica rossi, la maglietta bisunta dei Grateful Dead, la barba di una settimana, i pochi capelli raccolti in una coda, una Alfa senza filtro all’angolo della bocca, vi passerà un involto. Dentro, una VHS senza nessuna indicazione precisa. Voi tornerete a casa e prenderete da un intercapedine segreta ricavata nel muro un vecchio videoregistratore, detenuto illegalmente.

Inserirete la cassetta. Un titolo apparirà. Un’anguilla da 300 milioni. È una commedia grottesca. Anzi no, è un documentario sulla Valle Vecchia. Un reportage su Caorle negli anni settanta. Una parabola sul degrado della borghesia. Uno di quegli oggetti non identificati che uscivano fuori negli anni settanta e che impongono di pensarci due volte prima di dire che un film di oggi è “inclassificabile”.

C’è Lino Toffolo, che fa il pescatore di frodo. C’è Ottavia Piccolo young & beautiful. Ci sono Mario Adorf che fa il guardiapesca e Gabriele Ferzetti, sulfureo e stronzo. Musiche di Fiorenzo Carpi, montaggio di Franco “Kim” Arcalli, regia di Salvatore Samperi. La videocamera che viaggia tra le canne, sull’acqua, sinuosa. Lino Toffolo che vive in un casone e sproloquia in veneto come solo lui sa fare, dialoghi da osteria, visioni di un tempo perduto. L’effetto è quello di un film di Bertolucci se Bertolucci fosse cresciuto a fritto misto e bisato in umido. Il finale ha più “twist” dell’opera omnia di Shyamalan e in un universo parallelo Polanski l’ha tenuto presente per girare il suo L’uomo nell’ombra. Quando arriverete alla torrida scena di sesso in cimitero tra Toffolo e Senta Berger vi renderete conto di avere tra le mani roba che scotta.

Diffondete la visione, diffondete il verbo. Annunciate la lieta novella. Lino Toffolo nel 1971 era indiscutibilmente il Philip Seymour Hoffman italiano. Va a remengo!

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