Sulla diffusione del culto del Circo Zen nella provincia italiana

Cronaca a caldo, quasi in tempo reale, del nuovo parto degli Zen Circus. Primo, scegli la copertina di Villa Inferno, optando per l’ammasso sanguinolento di bisatti o per un volto scolpito in bianco e nero. Oppure scegli il ritratto degli antenati (ma chi sono, i bisavoli di Appino?) o un paesaggio di marmo spaccato, fotografato forse tra Massa e Carrara (ma un cartello in francese smentisce questa ipotesi). Poi passi in rassegna gli ospiti. No, Brian Ritchie non è un ospite, è il quarto Zen, col suo basso chitarrone da cartone animato, che ha pompato il primo ibrido folk punk con i Violent Femmes, e con una serie di strumenti da fiera di paese. Ci sono il piano e l’organo di Jerry Harrison sotto la cover di Wild Wild Life. E le voci delle sorelle Deal sotto una filastrocca punk. E la musica, al solito, 100% Zen: attitudine punk che salta indifferentemente dall’inglese all’italiano, passando per il francese e le lingue inventate di un mad professor balcanico. Partenza spaccaossa con Dead Penfriend, che pare uno scarto forsennato di Nello Scalpellini (ed è un complimento, intendiamoci). E poi i coretti Clash di Beat the Drum, dopo Wild Wild Life, che, ascoltata molte volte dal vivo, ora, incisa, sembra essere arrivata a loro per diventare la canzone rock definitiva, nonostante i Talking Heads. Punk Lullaby è una autocover della loro Pop Lullaby, con chitarre elettriche e un incedere da inno generazionale, più folle che mai. Figlio di Puttana è il fantasma di Rino Gaetano che canta come avrebbe dovuto se l’Italia non fosse, come sempre, un paese parecchio di merda. La produzione perfetta fa suonare tutto potente, con i quattro moschettieri in gran spolvero, tra devianti incursioni folk-rock nella dylaniata He Was Robert Zimmermann, recuperata in uno scatolone dimenticato dalla colonna sonora di I was not Here e una ballatona oscura da balera che diventa una specie di progressive involuto (Like a Girl Never Would). Narodna Pjesma è un punkafolkabilly che annichilisce i Gogol Bordello portando il livello di casino a livelli stellari, mentre Dirty Feet è una ballata uscita dai profondi anni settanta della provincia americana, doppiata da Oh my feet, da cantare in coro ubriachi. Ci dimentichiamo che sono italiani, in questa Villa Inferno popolata di fantasmi rock, ma Vana Gloria e Vent’anni ci regalano istantanee da gioventù appiniana scalcagnata e stronza nel bel paese (avevo le tasche stracolme di cazzate orientali/ottimismo da spiaggia e coltellini speciali/credevo in Maometto come a Babbo Natale/che tanto è uguale). A chiudere Les Tantes de la dimanche, sublime arrotare di erre transalpino, che potrebbe stare in un disco di Cali. Potevano scegliere di crescere, gli Zen, hanno deciso solo di diventare grandi.
www.myspace.com/thezencircus

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