Sei ore, nove tempi, diciotto bobine...

A volte succede che un impedimento momentaneo generi conseguenze gravi, quasi irrimediabili. Ieri sera la cronica mancanza di segnale Rai all'ora di cena mi ha costretto a sintonizzare il televisore sull'unico telegiornale visibile in quel momento: il TG4. Il servizio che ha attirato la mia attenzione e che mi ha fatto andare di traverso la cena, aumentare il bruciore di stomaco e provocato cattiva digestione, era dedicato alla mostra del cinema di Venezia. Il giornalista, con tono idiota, sbeffeggiava i film che erano passati alla mostra negli anni passati, magari vincendo premi, e che poi in sala avevano registrato zero o quasi affluenza di pubblico. In particolare venivano citati dal minus habens redazionale "il Faust di tale Sokurov" e i film di "Kitano Takeshi", di cui sfidava gli spettatori a citare un titolo. Immagino che per un protozoo del genere il massimo sarebbe veder proitettato I soliti idioti in sala grande e magari premiato con la Coppa Volpi il vecchio Mandelli. Io non ho niente contro I soliti idioti , non andrei mai a vederlo ma non mi sento di prendere in giro chi lo fa. Nel caso particolare mi fa quasi piacere che il film abbia avuto successo e spero che Mandelli decida al più presto di sciogliere gli Orange, abbandonare la musica e darsi totalmente al cinema. Trovo stupido sparare ad altezza critico prendendo per il culo cinepanettoni, benvenuti al nord-centro-sud, idioti soliti e non, preti televisivi, carabinieri televisivi, cani poliziotto televisivi, poliziotti televisivi cani e preti di varia gerarchia. E' l'altra faccia della medaglia dello squallido servizio mediaset. Criticare le mancanze artistiche di certi film è legittimo e doveroso ma prima di criticare bisogna contestualizzare. Venezia non è il contesto giusto per i film di cassetta, come un cinema multisala ripieno di diciassettenni la vigilia di Natale non è il contesto ideale per il Faust di tal Sokurov. La mia sarà una visione schematica ma se si vuole incominciare a considerare il cinema come industria culturale che ce la fa con le proprie gambe e smette di prostituirsi col politico di turno forse un po' di idee chiare non guastano.
Dopo cena, guardando Superquark, tra un paesaggio islandese e due mocciosi geniacci degli scacchi hanno mandato in onda un servizio sulla grande crescita delle produzioni cinematografiche e televisive in Brasile avvenuta negli ultimi vent'anni. Da un solo film prodotto in Brasile e proiettato in sala nel corso del 1995 sono passati a più di cento nell'ultimo anno. Il merito di questa esplosione produttiva è stato di una legge indirizzata alle aziende operanti nel settore che ha permesso di defiscalizzare una parte dei loro utili in cambio di investimenti nella produzione di fiction e film brasiliani e invece penalizzando chi non lo fa. In questo modo solo il fatto di investire porta guadagno all'azienda che così è più propensa anche a garantire maggiore indipenza artistica. Detta così non fa una piega infatti il servizio invitava a prendere spunto dall'esempio brasiliano per rilanciare l'industria cinematografica italiana. Purtoppo non è così semplice. L'Italia un sistema produttivo ce l'ha già e un tempo era uno dei più importanti del mondo: cinecittà prima di produrre disoccupati produceva i kolossal. Il Brasile è partito da zero e, nonostante qualcuno pensi il contrario, quasi sempre questo si traduce in un vantaggio perchè non ti porti dietro il peso di rami secchi, distorsioni e paludi umane. Pensiamo a cosa è saltato fuori negli anni scorsi da varie inchieste riguardo alle raccomandate del Centro Sperimentale di Cinematografia o sulla gestione di Rai Cinema. Certo si può obiettare che non ci si deve dimenticare di tutto il know how che il cinema italiano ha accumulato dagli anni ' 50 ad oggi, ma siamo sicuri che questo know how sia ancora al passo coi tempi? Che serva a darci qualcosa in più rispetto a cinematografie più giovani? O non è più vero dire che il cinema italiano ha vissuto per molti anni di rendita sulla grandezza del passato? C'è poi un ultimo problema che è quello fondamentale: mancano i soldi. Mancano per i teatri, mancano per i campi di bocce, mancano pure per i film. Per la politica non mancano ma quello è un altro discorso. Pensare di concedere ancora soldi sottoforma di sgravi fiscali a questo sistema produttivo è inaccettabile nei confronti di chi le tasse le paga. Non si può continuare a fare così male e a dare spunti a gente come Brunetta, che anni fa utilizzava il caso cinema italiano per sparare contro gli sprechi della cultura di sinistra. Non si può far finta che il cinema italiano negli anni non abbia ricevuto molto dai cittadini italiani sottoforma di contributi ma ben poco in forma di biglietti. Se l'idea degli addetti è di invertire questa tendenza bene, altrimenti non c'è ricetta brasiliana che tenga.

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