Hauntology 2: Filosofie

Cominciamo con una citazione: “Hanter non vuol dire essere presente, e bisogna introdurre la hantise nella stessa costruzione di un concetto. Di ogni concetto, a cominicare dai concetti di essere e di tempo. Ecco quel che qui chiameremo una hantologie. L’ontologia le si oppone solo in un movimento di esorcismo. L’ontologia è uno scongiuro” (Spettri di Marx). Proviamo a tradurre tutto questo in un linguaggio comprensibile. L’ontologia è la teoria che si occupa dell’essere in quanto tale. Cioè quella branca della filosofia che cerca di dire che cos’è un essere indipendentemente dagli esseri specifici e che cosa vuol dire “essere” al di là dei vari fenomeni sensibili. O, meglio ancora, cerca di definire quali possono essere le caratteristiche comuni perché si possa dire che qualcosa “è”. Può essere avvicinata alla metafisica, se pensiamo che per la metafisica quello che conta è trovare un principio stabile, definitivo. Ad esempio, per una metafisica religiosa, il garante della tenuta della realtà è il principio ultimo, vale a dire Dio. Se Dio esiste, le cose, partecipando anche solo parzialmente della sua “potenza”, esistono, possiedono una garanzia di stabilità. Se Dio non esiste, ci sono problemi a tenere in piedi l’architettura della realtà, ormai priva del punto fisso fondamentale. Tutto diventa relativo, dietro l’apparenza sensibile delle cose non cè niente. Non esiste un garante supremo della verità (ad esempio del fatto che quando nominiamo una cosa o un fenomeno stiamo dicendo qualcosa di vero o di falso, o che quando diciamo “gatto” intendiamo proprio quel gatto e non, magari, un cane). Il problema è che seguendo questa via l’ontologia e la metafisica la fanno un po’ troppo facile. Fissare le cose in modo definitivo significa farsi sfuggire degli elementi importanti, ad esempio il divenire, il mutamento, il cambiamento. Oppure, fissare l’identità della realtà fa sfuggire la differenza; o dire che il fondamento sta nel sovrasensibile o nello spirituale significa farsi sfuggire la realtà corporea delle cose. Derrida dice che la metafisica, ogni volta che cerca di fissare un principio primo (o ultimo) della realtà, rimuove certe cose. Il problema è che queste cose, come in un esorcismo andato male, ritornano. Queste cose che ritornano assomigliano a dei revenants, a dei fantasmi. I fantasmi sono quelle cose che lo “spirito” della metafisica vorrebbe cancellare e che, proprio perché tenta di cancellare, ritornano. Sono come una memoria nascosta, una cache del computer o dei lapsus. Come quando vorremmo dire qualcosa e per uno scherzo dell’inconscio diciamo il contrario. E spesso il contrario è proprio quello che avremmo voluto dire fin dall’inizio ma che ci faceva paura dire in modo esplicito. Per fare un altro esempio, quanto più un prete cerca di rimuovere il corpo mortificandolo, tanto più il corpo verrà fuori nei momenti meno opportuni, magari quando si trova davanti a un bel bimbo in confessionale.
Derrida parla di Hantologie giocando con le parole. La sua è una specie di ontologia del fantasma, cioè di quello che per definizione dovrebbe invece sfuggire all’ontologia, perché il fantasma propriamente non esiste (può essere una fantasia, parola che ha la stessa radice di fantasma) ma pur non esistendo infesta i nostri incubi e le nostre case. Allora qual è l’ “essere” del fantasma? Oppure questa parola potrebbe voler dire che l’ontologia stessa è abitata e infestata fin dall’inizio dal fantasma. Non c’è ontologia senza fantasma, non ci sono le “cose” senza che ci siano anche degli spettri che continuano a infestarle.
Continua…

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