Nell’era dei recuperi e dei riciclaggi, quando mondi musicali fantasmagorici sono a portata di un clic, i segreti più riposti possono diventare di dominio pubblico e il virus della buona musica finalmente è libero di proliferare e andare all’arrembaggio di lettori mp3 e Ipod vari. Solo che per ascoltare costui occorrerebbe dotare il proprio lettore di adesivi catarifrangenti e appendere alle cuffiette una palla stroboscopica. Perché esso è il culto assoluto della dance italiana, colui che avrebbe fatto impallidire Barry White e si sarebbe mangiato in un sol boccone lo studio 54 tutto, Andy Warhol e cocainomani en travesti compresi. Egli è stato il primo impatto, nel periodo dorato e pieno di moquette in cui i settanta stavano per volgere negli ottanta, con due elementi fondanti della cultura occidentale: la funky disco e i grandi obesi. Perché costui, Giampiero Scalamogna, svettava dalla copertina di un 45 giri che girava in casa, e che probabilmente da qualche parte ancora c’è, reperto da e-bay e asteroide di una galassia del Sabato Sera. Il disco si intitolava Blu. Sulla copertina, accanto a una mulatta ai confini della transessualità, spiccava un corpo in salopette. Blu, appunto. Un corpo, ripeto, perché la testa da satrapo, incassata in guance barbute e ornata da acquosi occhi azzurri, scompariva a fronte di cotanta mole. E Gepy & Gepy, l’unico cantante, da quanto mi risulta, con il nome di un duo, era l’uomo più grosso del mondo, soprattutto messo accanto alla silfide dall’incerta sessualità. E la sua voce, cresciuta alla scuola del rithym blues e del soul, l’avrei ricollegata più tardi, nel tempo della coscienza, a quella ribassata e ultraboost di Barry White, sovrano della dinastia che coniugava disco sensuale e soul e che, con un miracolo di geografia fantastica, Gepy & Gepy aveva saputo trapiantare nella nostra gloriosa penisola. Uomo di musica autentico, dopo aver viaggiato per l’Europa e appreso i fondamenti dell’amato soul, ritornò in Italia per consegnare il paese delle barbe terroristiche a una più rassicurante barba da playboy montata su una baleniera. Il suo apprendistato nei locali romani non può non farci immaginare che un giovane Danilo Abbruciati abbia deciso di farsi crescere l’onor del mento proprio vedendo l’ascendente esercitato sulle donne dallo Scalamogna. Il volto di Gepy, sul punto di scoppiare e di andare in orbita - con la sua inseparabile salopette su misura - è per sempre inciso nella memoria di quanti nel bel paese hanno amato quell’isola di edonismo che, strappandoci dagli anni di piombo, ci avrebbe cosegnato agli ottanta, un altro tempo, in cui la sagoma di Gepy & Gepy non avrebbe forse potuto emergere con tutta la sua carica di icona della via italiana al Funk sexy. Si veda, per la cronaca, la copertina di Body to Body in cui Gepy & Gepy sta, in tutta la sua possanza, immerso in una pozza sulfurea (forse la sauna della domus aurea) con accanto due raffinate donne di mondo che faticano a cingerlo in tutta la sua sconcertante rotondità. Per me sarà sempre legato a quel periodo, circa 77, in cui il vero rinnovamento italico passava per una salopette XXXXL, icona del post punk a venire. Da una biografia rintracciata in rete, si può scoprire che Gepy & Gepy ora vive in California e fa il produttore. Talvolta gli capita di suonare nei locali della costa. C’è da augurarsi che con la sua aria da guappo non venga coinvolto nelle faide tra le due coste dell’Hip Hop o che non si metta nei guai cercando di soffiare l’ultimo sample di Timbaland. Qualcuno dice che dentro la piramide nera dei Daft Punk ci fosse lui.
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