Barbe e baffi



Mi ricordo, sarà stato il 1985, e la sola idea che sul mio volto liscio potesse spuntare anche un unico solitario pelo mi pareva remota come la fine della Guerra fredda. Eppure, c'era un mio compagno di classe, la cui situazione ormonale e pilifera non era molto diversa dalla mia, che aveva una vera e propria ossessione per le basette. Periodicamente veniva da me e con l'aria di chi è iniziato a segreti preclusi al resto dei mortali, esibiva la sua assoluta assenza di basette come se fosse un segno di guerra. Aveva gli occhi azzurri, e tempo dopo ho associato questo fatto, il mostrare cioè le guance imberbi e le basette tagliate fino alla base delle tempie, alla pratica della mensur, i combattimenti rituali dei cadetti tedeschi, che si sfregiavano la faccia tutti contenti ed esibivano le cicatrici sulle guance come estrema prova di coraggio. Anche loro avevano gli occhi azzurri.
Allora, questo mio compagno di classe si vantava non di essere imberbe, bella forza, ma di essere costretto a tagliarsi con frequenza quasi giornaliera le basette – cosa in effetti abbastanza improbabile – ed esibiva questa assenza di basette come un modo per essere assolutamente di gran moda. Perché nel 1985 nessuno portava le basette, tantomeno la barba. Alle medie, poi, men che meno, e anzi i pochi barbuti lo erano per evidenti problemi ormonali o per difetto di studio ed eccesso di bocciatura. Insomma, la barba, il baffo e la basetta erano marchi piuttosto infamanti, che denotavano una qualche mancanza, qualcosa di lombrosiano, oserei dire.

Poi, da fuori corso generazionale, mi capita, venticinque anni dopo – che fa un quarto di secolo a ben vedere – di recarmi a qualche concerto di musica indie e alternativa e di notare una cosa strana. È pieno di ragazzi che sfoggiano barbe – colte e incolte – e persino sottili baffetti. Ora, passi per la barba, da tempo sdoganata come indicatore di una certa vena neo hippie e post centro sociale, ma i baffi, beh quelli fino a sei o sette anni fa erano l'indubbio segno di un retaggio tardo autonomo, e difatti di baffuti ne vedevo soprattutto girando per Bologna. E non a caso Bologna, direi, dato che al cinema, i primi neo-baffuti visti negli anni zero erano quelli dei protagonisti di Paz e di Lavorare con lentezza. Il baffo faceva ancora molto settanta e a pochissimi veniva in mente di sfoggiarli. Insomma, qualcosa è cambiato. Poi ho letto un articolo di Simon Reynolds sui Noughties (gli anni zero), in cui il solito geniale Simon esaminava la barba e il pelo come indicatore di una certa aria del tempo da primi dieci anni del nuovo millennio. E se ci fate caso i barbuti proliferano, i barbuti alla moda, andando da gruppi all bearded come i Band of Horses, filone indie neo-country, che avrebbero fatto la loro figura in mezzo ai Lynyrd Skynyrd, fino ai neo hippie patenti, come Fleet Foxes e Iron and Wine, ai guru dell'americana, come Will Oldham-Bonnie Prince Willy, che sulla copertina di Master and Everyone si esibiva in una foto tra il vecchio west, la guerra di secessione e il ritratto dello zio garibaldino. E che dire del volto glamour neo folk per eccellenza, Devendra Banhardt, con quella conformazione barba capelli da Sandokan bo-bo, come se Jim Morrison non avesse deciso di diventare grasso e sfatto e si fosse fuso con Gesù Cristo? In tempi non sospetti già Eels correva barbuto sul suo trattorino, come il vecchietto di Una storia vera di Lynch. La barba è poi un indicatore di stile anche nell'elettronica, da quella da fighetto finto trasandato minimal di Villalobos a quella comsico krauta di Lindstrøm, passando per James LCD Soundsystem Murphy e la sua evidente propensione alla rasatura bisettimanale.
Non va diversamente nell'area hauntologica-hipnagogica, in cui i peli facciali abbondano, soprattutto nella versione barba non troppo lunga da sperimentatore folle (Moon Wiring Club, Mordant Music, Onehotrix Point Never) e baffo rado da nerd intrappolato in una videocassetta anni ottanta (James Ferraro, Sun Araw).
E il baffo, appunto? Il baffo è quello di uno degli Hot Chip, ad esempio, o di River Cuomo dei Weezer, ma fa ancora un po' troppo sottobosco settanta, tra porno alla Boogie Nights e sadomaso durissimo alla Cruising. Molto decadente è quello di mezzi Justice, mentre è da western crespuscolare quello di Nick Cave versione Grinderman, tipo camionista predicatore sudista. Persino le CocoRosie sfoggiano baffi da comune folk newyorkese.
E ancora pensiamo a Wayne Coyne dei Flaming Lips, in realtà barbuto da tempo, che Reynolds riporta non tanto alla linea country blues da uomini veri (The Band, Allman Brothers) o a quella politicizzata (Robert Wyatt) ma a quella più raffinata del glamour urbano cocainomane tipo Laurel Canyon anni settanta (Fleetwood Mac, Eagles). E da noi? Spiccano su tutti l'iconica barba da mistico dandy di Bianconi, che ha contagiato anche il suo collega Brasini. Ques'ultimo ha però l'aria da post-autonomo e fuori corso di sociologia. E quella di Nicola Manzan alias Bologna violenta, che sembra un cattivo da film di adoratori del demonio. Tommaso Cerasuolo dei Perturbazione, invece, sfoggiava tempo fa baffoni da ferroviere anarchico. Ma il baffo musicale più potente è quello del batterista dei Lombroso, largo cinque centimetri, probabilmente ormai inestirpabile. Tipo che se decidesse di radersi alla Gillette stapperebbero spumanti per un mese.
In ogni caso i baffi per eccellenza, per me, rimangono quelli di Jon Voight in Un tranquillo weekend di paura, come un presagio di agonismo virile sul volto troppo liscio. Anticipazione delle prove iniziatiche a venire. Un po' come tagliarsi le basette quando non si hanno ancora.

NB, questo pezzo è stato originariamente scritto prima che sulle barbe scrivesse anche Maurizio Blatto su Rumore (numero di maggio 2011). Il fatto che entrambi ci siamo occupati di tema così importante per la cultura è segno dell'aria dei tempi.


Band of Horses

Bonnie Prince Willy

Devendra Banhardt

Eels


Wayne Coyne


Lindstrøm 


Lombroso


Sun Araw



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