La vie en rouge

A catinelle, a damigiane, a secchiate, a mastelle, a fiaschi, a borracce, a bottiglie, a bicchieri. A schizzi e a gocce. A torrenti, a rivoli, a rigagnoli, a ruscelli. A fiumi. Come la Senna e come il Rodano. Come la Loira e la Garonna. La Mosella e la Marna. È sangue. Tanto, tantissimo sangue. Da farci dieci volte il Soldato Ryan. Più sangue che in Kill Bill e Profondo Rosso. Più sangue di quanto Calvados e Pastis si scolino in tutti i romanzi di Maigret. No, non sto parlando di Lucio Fulci. E nemmeno dei martiri della Chiesa Cattolica. È il Nuovo Horror Francese. Non esattamente l'idea della Francia che abbiamo di solito. Sono tanti, gli horror francesi che escono in questi anni, e sono feroci. Eleganti come Giscard D'Estaing in vestaglia dopo una doccia di plasma. Intrattabili come un normanno al decimo Grog. Maligni come il Maresciallo Petain riportato in vita da un druido demoniaco.
Non c'è che l'imbarazzo della scelta. Volete una storia di serial killer massacra-famiglie con twist finale degno di Shyamalan? Ecco Alta Tensione (2003) di Alexandre Aja (che in America ha poi fatto cose interessanti), forse l'iniziatore della nouvelle vague sanguinolenta (non conto Il Patto dei Lupi (2001) e i Fiumi di Porpora (2000), in cui l'elemento horror si mescola ad altre cose). Per ragionare con i soliti luoghi comuni, quello transalpino è un cinema dell'orrore cartesiano. Razionale e feroce nel portare all'estremo i presupposti, senza il moralismo americano. Non c'è nulla di umano nella macchina di morte di Beatrice Dalle in A l'Interieur (2007) di Bustillo e Maury. Ovvero Carpenter con donna incinta, ma senza lieto fine. Strumenti preferiti: forbice e ferro da calza.
Oppure prendiamo Sheitan (2006) di Kim Chapiron: horror campagnolo a base di tare psichiche e rituali blasfemi. Con Cassel modello Contadino della Linguadoca in doppio ruolo (fa sia il contadino che sua moglie) che recita come se fosse in preda a un perenne trip di camembert andato a male. Ma niente raggiunge i vortici di angosica e depravazione di Calvaire (2004) di Fabrice Du Welz (film belga questa volta, ma lo includiamo volentieri in questa rassegna), in cui un simpatico cantante si ferma col furgone nel posto sbagliato. Al confronto degli affabili abitanti dei boschi belgi, i montanari del Tranquillo Weekend di Paura sono un gruppo di forbiti liberal in giacca di velluto con le toppe appena usciti da Harvard.
Oppure date un'occhiata a Ils (2006) di Moreau e Palud: coppia francese che vive in una casa nella campagna romena. E sente dei rumori in giardino. Chi c'è nella notte ad aspettarli? Angosciante come il seminario XI di Lacan dopo pranzo. E poi, se siete sopravvissuti fino a qua, eccovi il classico uno due per chiudere i conti: Frontiere(s) (2007) di Xavier Gens. Che ne direste di una famiglia di nazi con la fissa della razza pura, ma poche nozioni di genetica applicata? Cosa succederebbe se catturassero i soliti banlieusards in fuga? Che ne dite di cannibalismo, ganci da macellaio, fucili a pallettoni e cene di famiglia?
E infine la fanfara malefica fa squillare le trombe con Martyrs (2008), che fin dal titolo è tutto un programma. Pascal Laugier aveva debuttato nel 2004 col discreto Saint Ange, horror di atmosfera che finisce un po' in niente, ma ora ci da un capolavoro malsano e ateologico. Che inizia durissimo, con una bambina in fuga dalle torture, continua con massacri in interno borghese e arriva a un finale disturbatissimo. Dietro a un apparente caso di maltrattamento e di psicosi si innesta la storia di una confraternita dedita a un ricerca un po' particolare. Praticamente Hostel con Bataille al posto di Tarantino.
Insomma, mentre in Italia si va ancora dietro a Dario Argento, ormai l'ombra dell'ombra di se stesso, poco lontano si tiene alta la bandiera – rosso sangue, naturalmente – dell'orrore estremo.

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