Un certo Joe Meek

Nell’empireo dei geni della produzione musicale un posticino riservato a Joe Meek ci sarà sempre. Ovviamente nel reparto visionari con disturbi della personalità, appena un gradino sotto gente del calibro di Brian Wilson e Phil Spector. In un’epoca in cui la produzione di un disco era ancora una faccenda riservata a tizi in giacca e cravatta e ingegneri del suono col camice da dottore, Joe Meek irrompe come un pazzo visionario intenzionato a portare la musica alla dimensione cosmica. Ricapitoliamo: la Londra dei primi anni sessanta sta ancora cercando di capire se il rock ‘n’ roll è una cometa destinata ad esaurirsi nel giro di qualche anno o se il music business è una cosa seria. In mezzo a dirigenti discografici grigi come bancari della city e a futuri geni del management impegnati a farsi strada in ogni modo, come il dandy geniale Andrew Loog Oldham, fa la sua comparsa un giovanotto proveniente dal Gloucestershire. Ciuffo di capelli sparato in aria, mento sporgente, occhi spiritati spesso coperti da occhiali da sole su montatura nera, questo ex operatore radar della Royal Air Force vuole dire la sua nel mondo dell’esplorazione sonora. Ha già la passione delle apparecchiature elettroniche e dell’espansione delle possibilità della musica. Anche se, in realtà, di musica ne sa ben poco (i musicisti saranno sempre impegnati a decifrare e trascrivere le sue intuzioni musicali fischiettate e canticchiate), ma conosce qualcos’altro: il legame tra il suono e il futuro. Ben prima che gente come i Beatles o i Pink Floyd inizi a portare la musica pop a contatto con la prospettiva psichedelica e che il Krautrock decida di esplorare le frontiere del cosmo, Meek cerca già di catturare l’essenza spaziale del suono. I singoli che produce sono pieni di strani brusii, oscillazioni elettroniche, pianoforti distorti, suoni attutiti come provenienti da un’altra dimensione. “I hear a new world” è il titolo di un suo concept album di musica dallo spazio profondo. È forse il primo a concepire lo studio di registrazione come una camera delle meraviglie per ottenere i suoni che gli attraversano la testa: in un’epoca ancora pretecnologica ricorre a trucchi stravaganti e geniali, come registrare le varie sezioni strumentali delle canzoni disponendo i musicisti in stanze separate o sui diversi piani della sua casa. Dopo aver centrato nel ‘61 un numero 1 nella hit parade con il country mortuario e spettrale di Johnny Remember me, prodotta nel mitico studio casalingo di 304 Holloway Road a Islington, nel ‘62 arriva il botto: Telstar, suonata dai Tornados. La canzone, ispirata dal primo satellite per le telecomunicazioni da poco lanciato in orbita, arriva al primo posto in Inghilterra e negli USA assemblando una melodia infantile da luna park allucinato, suoni elettronici venuti dallo spazio, rumorismi degni di Xenakis e un piglio simil rock. Telstar consegna Meek alla storia e chissà se sarebbe stato contento di sapere che quello “spatial tune” avrebbe trovato una fan accanita nella lady di ferro Margaret Thatcher (tra l’altro, nei Tornados suonava anche George Bellamy, padre del futuro leader dei Muse). Il lato oscuro di questo genio del suono era però fatto di paranoia e ossessioni per gli spiriti e l’occulto: tormentato dalla propria omosessualità Meek, comincia a vedere complotti e intercettazioni ovunque. Il suono e l’etere gli si rivoltano contro: teme che gli vogliano rubare il suo inimitabile sound e viene beccato in situazioni imbarazzanti con alcuni ragazzi. I suoi disturbi aumentano e la paranoia esplode: la mania per il mondo dei morti lo porta a fare sedute spiritiche per connettersi con Buddy Holly e a girare per i cimiteri di campagna pronto a registrare le voci dell’oltretomba (e a dialogare con gatti parlanti…). Il 3 febbraio 1967, nell’ottavo anniversario della morte di Holly, Joe Meek spara alla sua locataria e si fa saltare la testa con un colpo di fucile. Il genio paranoico parte per il viaggio definitivo nell’oltremondo cosmico, fra le stelle. Ancora oggi, quando ascoltate il rumore bianco che viene dallo spazio, fate attenzione: sentirete una melodia lontana, sognata tanti anni fa in uno studio di Londra da un certo Joe Meek.

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