Initials D.D.

Ci sono poche cose di cui si può essere sicuri nella vita. Oggi me ne vengono in mente due. La prima è questa. Immaginate di essere nel 1959, a Londra. Negli studi della Decca entra una ragazza. Ha i capelli scuri e la pelle chiara. È vestita come si vestivano le ragazze di quegli anni: una gonna e un pullover, perché a Londra fa sempre freddo. Si chiama Delia Derbyshire e viene da Coventry, ha studiato musica e matematica. Va da un funzionario della casa discografica, quella che poi avrebbe prodotto i Rolling Stones. È in cerca di lavoro. Io non l’ho mai visto quel funzionario, ma riesco a immaginarlo. Occhiali, vestito scuro, un’aria saccente. Qualcosa a metà fra il Beniamino Andreatta dei tempi d’oro e Anthony Hopkins di 84 Charing Cross Road. Lo immagino mentre ascolta cordialmente la ragazza – i funzionari sono sempre cordiali – e dice che no, alla Decca non assumono ragazze. Cosa c’entra una ragazza con uno studio di registrazione? È un lavoro per uomini. Ecco la prima cosa di cui sono sicuro: quell’uomo è un idiota.
Dubito che se ne sia mai reso conto, persino quando, davanti alla televisione, con un quotidiano spiegazzato in mano e le ciabatte ai piedi, partiva la sigla del Doctor Who. Lui, l’idiota, era sicuramente uno di quelli che cambiava canale. O che provava a sintonizzare meglio la televisione, perché l’apparecchio doveva avere qualche problema. Non poteva essere il suono giusto quello che veniva fuori: una melodia oscillante, una sorta di ronzio melodioso accompagnato da un basso stranamente pieno di effetti, come se fosse stato registrato in una caverna. Sicuramente non sapeva che quella musica scritta da Rob Grainer, ma reiventata e resa unica da Delia Derbyshire, sarebbe divenuta immortale, conficcandosi nelle orecchie di milioni di inglesi (e di moltissimi altri spettatori sparsi sul pianeta). Alcuni di loro avrebbero creato, in seguito, la loro musica. Con nomi strani, come quella musica: Orbital o Portishead, tanto per fare un esempio. O il Gemello di Aphex o i Fratelli Chimici.
Nel 1960 Delia trova lavoro al Radiophonic Workshop della BBC. Lì trova altri personaggi strani come lei, innamorati di numeri e suoni. Elettronica e rumori, effetti per programmi per bambini, sigle per trasmissioni educative, sottofondi per immagini di architettura modernista. I pionieri devono sempre cominciare dai bordi, impadronirsi dei margini, riempire gli angoli. Il problema è che i suoni non li puoi mettere in un angolo. Escono sempre fuori. Ed è così che Delia e i suoi colleghi, con nomi come John Baker, David Limb, David Caine, Malcom Clarke, con facce da Monty Phyton e vestiti eccentrici, lanciano la loro invasione elettronica sul Regno Unito.
Negli anni sessanta alla BBC c’era grande libertà di sperimentare (ma scarso riconoscimento). E se la sigla del Doctor Who è entrata nell’immaginario collettivo, basta ascoltare qualche altro frammento sonoro del periodo per capire il livello raggiunto da quel manipolo di mad scientists sonori. Come se da noi il carosello avesse avuto le sigle dei primi Pink Floyd. Come se i Kraftwerk avessero scritto la musichetta della China Martini. Però gli anni non tornano, fateci caso: quando Delia e gli altri inventano musiche provenienti da altre dimensioni i Beatles stavano appena scoprendo il rock ‘n’ roll. Ralf e Florian probabilmente ascoltavano dischi bavaresi e la cosa più elettronica ascoltata da Syd Barrett era il phon.
Delia Derbyshire se ne va dalla BBC nel 1969, delusa. La moda è cambiata: minigonne Mary Quant, abiti Biba e Ossie Smith, taglio Vidal Sassoon. Forse lei non si rende conto di aver creato qualcosa che rimarrà per sempre. Continua a fare mestieri legati al mondo del suono, ma non è felice. Trova il tempo, proprio nel 1969, di incidere un disco assieme a un altro visionario, David Vorhaus, col nome di White Noise. Lavora con gente come Jimi Hendrix e Yoko Ono, incontra Brian Jones e i Pink Floyd, rimanendo sempre sullo sfondo.
Delia inizia a bere, scivola nella depressione. Sposa un minatore e vive in completo isolamento. Ma continua a registare. Centinaia di nastri, ore e ore di frammenti sonori da un altro tempo. È morta nel 2001, ma la sua musica, raccolta e digitalizzata, continuerà ad aspettarci.
Il disco fatto come White Noise si chiamava tempesta elettrica. Rock cosmico prima del kraut. Quando ascolto la sua musica, però, non è la tempesta che mi viene in mente quanto piuttosto i piccoli rumori inclassificabili che escono dalle musichette per bambini. Penso a feste di compleanno su astronavi pop che viaggiano in altre costellazioni. Penso a dimensioni ignote che circondano la nostra. E penso al futuro. In un documentario che rievoca i tempi del BBC Radiophonic Workshop c’è una sequenza in cui Delia mostra all’intervistatore come funzionano le macchine che usa. Fa partire i loop di nastro magnetico uno dopo l’altro. I suoni campionati generano un ritmo, poi un altro che si innesta sul primo. Poi una melodia distorta. In quei frammenti di nastro che gira c’è il gesto di chiunque oggi, davanti al suo computer, decide di giocare con i sample. Ci sono i Kraftwerk vestiti da Robot e la piramide di luce dei Daft Punk.
La seconda cosa di cui sono sicuro è che Delia Derbyshire è un genio.

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