Il pomeriggio della repubblica

Bim Bum Bam, il pupazzo rosa Uan, il cane bianco Spank, i tuoi capelli d'oro Lady Oscar, i tuoi capelli gialli e rossi Mirko dei Bee Hive. E su tutto la voce canterina di Cristina D'Avena, da Bologna. Il coro dell'Antoniano come luogo di incubazione di un progetto di lobotomizzazione totale. Parodiando il complottismo del "paese del sangue e del mistero" (e quale modo migliore per parodiare un complotto che disseminare tracce di eventi veri, eventi falsi, eventi credibili, come nel Pendolo di Focuault?), ecco il grande complotto pantelevisivivo, con Cristina D'Avena nel ruolo della Voce.

Se Generazione Bim Bum Bam di Alessandro Aresu (uscito da poco per Mondadori) avrà almeno un eterno merito, sarà quello di aver messo nello stesso parallalelepipedo gutenberghiano il nome di Marrabbio e quello di Walter Benjamin. Ma cos'hanno in comune il filosofo del materialismo messianico e il cuoco nipponico ma dagli evidenti tratti partenopei che scorrazzò insopportabile sugli schermi televisivi degli anni Ottanta? Intendo oltre ai baffi, naturalmente.
Per scoprirlo dovrete leggere Generazione Bim Bum Bam, che oscilla paurosamente tra l'intuizione folgorante e la chiacchiera da Bar Sport dei tempi andati, in cui, invece dei tipici avvinazzati di paese intenti a discutere della scala mobile e dei baffi di Zaccarelli, troviamo dei neotrentenni che hanno come massimo punto di riferimento, appunto, Bim Bum Bam. Ecco, anche se sembra una critica, per me questo vuol dire che è un libro da leggere, perché come ogni buon libro che cerca di parlare del presente e del futuro prossimo, inizia costruendo un mondo che assomiglia al nostro e che tuttavia ha qualcosa di sbagliato, un particolare fuori posto, che getta una luce diversa su quello che fino ad allora abbiamo considerato in un certo modo. Tipo il finale della Casa delle finestre che ridono, col prete e tutto, se capite cosa intendo.

Allora, in questo mondo non-del-tutto-come-il-nostro, la responsabile dei programmi per ragazzi della Fininvest Alessandra Valeri Manera va a Bologna a prendere Cristina D'Avena per usarla come voce dell'Impero del male. Con una valigetta piena di soldi, passa sotto all'orologio della stazione che continua a girare, perfettamente fermo, nell'eternità degli anni di piombo. Siamo nel 1981, tutto è già finito, tutto è già ricominciato. Ha un progetto: usare quella voce per sottomettere le menti dei piccoli balilla teledipendenti al progetto di lobotomizzazione totale. Dietro c'è Mister B., ovviamente.
Oppure no. Dall'altra parte dello specchio ci sono milioni di ex balilla televisivi che sono cresciuti a pane (o merendine) e Bim Bum Bam. Il contenitore definitivo per lo svago pomeridiano. Folgorazioni giapponesi con stacchetti stucchevoli (agli occhi di noi pionieri, con solo un paio d'anni in più, ma testimoni della prima esplosione giapponese, anarchica, fracassona, sediziosa, da allarme sociale) e futuri Paoli Bonolis. C'è Spank, in quella fetta di tempo catodico, e c'è Lady Oscar. (Che per noi nati un po' prima naturalmente è quella dei Cavalieri del Re, ma se qualcosa insegna questo libro è che ognuno ha la sua sigla di Lady Oscar, come ognuno immagina a suo modo la voce di Walter Benjamin*). In questo contenitore sono cresciute coscienze. La coscienza, per essere qualcosa di più rispetto a un versione un po' più evoluta dell'ombelico, ha bisogno di criteri di riconoscimento. Ecco allora il senso del libro: la generazione Bim Bum Bam è fatta da quelle schiere di ex bambini nati tra il 1975 e il 1990, per i quali la voce di Cristina D'avena è più familiare di quella della loro mamma (ma non del loro nonno, e questo è un punto importante). Sono quelli che si riconoscono in Spank. Se vi pare poco, considerate che la nostra coscienza politica è stata orientata da gente il cui unico merito è stato quello di essere presente a una manifestazione in un giorno qualsiasi tra il 1968 e il 1977 sventolando dei tessuti rossi e urlando in coro slogan in rima baciata, aspirando - nel caso dei maschietti - ad entrare nei jeans delle compagne alfine liberate.

I Bimbumbamiani sono una generazione che ha come causa comune quella di aver introiettato il senso dell'esistenza in lunghi pomeriggi catodici durante i quali il passaggio del tempo era dato non dalla parabola solare, ma dalla successione delle sigle dei cartoni giapponesi. La sigla di Spank sta quindi per loro a metà tra Proust e la voce del Dottor Mabuse; la luminescenza dello schermo televisivo vale quanto tutte le ideologie. E qua si scontrano le due versioni della storia. Perché per i più vecchi, o per i più saggi, o per quelli che hanno "ma vatti a leggere un libro che è meglio" come mantra eterno, questa è la generazione dei senza cervello, degli analfabeti di ritorno, della carne da cannone elettorale per Mr B.
E se non fosse così?, si chiede l'autore. E se la questione fosse quella di far capire, prima di tutto ai diretti interessati, che questa è una generazione che conta (in tutti i sensi) e che i campioni del mondo di dietrologia e complottismo e di mali storici dell'Italia hanno forse definitivamente rotto i coglioni? E che stringi stringi, forse, a rimboccarsi le maniche come hanno fatto i cinesi, qualcosa di buono potrebbe venire fuori (ecco, i cinesi sono la parte meno convincente del libro, la geopolitica dei nonni Dengxiaopinghiani non convince, è un po' buttata là, con un tono da "sono diventati una superpotenza e i treni arrivano in orario" che sa da chiacchiera, ma se c'è uno che potrebbe diventare un gran saggista trasversale alla Berselli forse è proprio Aresu, qua lo dico, qua lo nego). Il grande gedankenexperiment, il "che cosa succederebbe se" che il nostro sembra invitarci a fare, è questo: cosa accadrebbe se finalmente tutti i Bimbumbamiani si accorgessero che il pomeriggio è finito, che c'è ancora un po' di luce fuori, che c'è un paese da salvare e che è ora di uscire a giocare e dire, semplicemente, "ci siamo e possiamo fare delle cose"?

Cosa mi sarebbe piaciuto trovare di altro in questo libro? Un po' più di analisi e meno domande a effetto, qualche lume sul rapporto tra la generazione Bim Bum Bam e quella degli zii e dei fratelli maggiori.
Infine, mi sarebbe piaciuto vedere Marrabbio suicida a Port Bou al posto di Benjamin, con Walter che fugge in Giappone e poi in Cina. Diventa nonno di Licia e consigliere artistico di Deng Xiaoping. E si scopre che, alla fine, Mister B. è lui. Ma questa sarebbe un'altra storia. Oppure no?


* In realtà, per chi fosse proprio curioso della voce di Benjamin, una possibilità c'è di sentirla. Su UbuWeb è infatti presente l'audio di una serie radiofonica per bambini degli anni '30, curata proprio dal nostro.

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