Così twittò Zarathustra. I limiti dell'universo

I problemi che sorgono utilizzando Twitter e che hanno come oggetto la corrispondenza tra informazione e realtà si possono affrontare oltre che dal punto di vista oggettivo, per mezzo di strumenti specifici che andrebbero attivati direttamente sul sito, anche da quello soggettivo e cioè con la volontà e la capacità degli utenti di evitare bufale ed inesattezze attraverso l'osservanza di semplici comportamenti: selezionare al meglio chi seguire, controllare l'informazione ricevuta e ricordarsi di retwittare SOLO dopo che il controllo è stato fatto.
L'elemento soggettivo è fondamentale quando si considerano gli aspetti problematici degli strumenti di comunicazione. Prendiamo Twitter: non tutti lo usano per lo stesso motivo, non tutti lo usano nello stesso modo e soprattutto non tutti valutano i suoi contenuti secondo gli stessi livelli di scetticismo. Utilizzarlo per comunicare in modo sensato (per esempio senza trasformarlo in una chat con l'inquilino del piano di sotto) e moderato dovrebbe essere la regola per non incappare in spiacevoli effetti indesiderati. Poniamo che una persona decida di usare Twitter per cercare notizie e scambiare opinioni con altri utenti su un argomentio specifico, motivata dalla scarsità di occasioni di questo tipo nella vita reale. Se l'uso di Twitter diventa massivo, anche solo limitatamente a quell'argomento particolare, questa persona rischia di contrarre una grave forma di un particolare disturbo, che in misura diversa abbiamo provato tutti nel corso della vita, e che viene chiamato “percezione selettiva”. In poche parole corrisponde alla frase, buona per i litigi tra morosi, “ascolti solo ciò che vuoi ascoltare”. E' come avere dei tappi nelle orecchie e delle bende da pirata sugli occhi che riescono a far passare soltanto le informazioni di un certo tipo, cioè quelle che ci stanno a cuore. Che idea si può fare del mondo reale qualcuno le cui percezioni sensoriali sono massicciamente influenzate da queste informazioni parziali? E' stato dimostrato che quello che si ottiene è una visione distorta della realtà, quella fisica intendo. Il primo effetto, facilmente intuibile, è che la percezione della diffusione tra il pubblico dei propri interessi è completamente sfalsata. Più volte mi sono stupito de fatto di trovare poca gente ad assistere ad alcuni concerti o alla proiezione di film che mi interessavano. La causa di questa non corrispondenza tra le mie aspettative e la situazione reale è dovuta proprio al fatto che le dimensioni dell'universo d'interesse da me creato erano erroneamente condizionate dalle mie ricerche e dai miei contatti. In questo universo virtuale molti sono interessati a quel film indipendente quindi, secondo il mio procedimento logico distorto, le stesse proporzioni si devono rispecchiare nella realtà. Ma non è così. Per avere una visione complessiva dell'interesse che il film indie aveva suscitato su Twitter il giorno della sua uscita in Italia, avrei dovuto rapportare i twit che ne parlavano con il totale generale dei twit italiani. Se lo avessi fatto probabilmente mi sarei accorto che questo rapporto era simile a quello degli spettatori che sono andati a vedere il film rispetto a tutti quelli che si sono recati al cinema quel giorno.
Dove sta la causa della distorsione? E' proprio su questo punto che molti opinionisti da sbarco e sedicenti esperti tecnosociologi sbagliano, quando parlano di alienazione causata da un uso eccessivo di internet e dei social network in particolare, di un progressivo straniamento collettivo e di una paradossale maggior solitudine nella vita reale mascherata da vagonate di amici virtuali. Il loro intento è incolpare lo strumento quale generatore dell'anomalia introducendo una relazione falsamente lapalissiana, in realtà stupida, che al massimo potremmo usare in una campagna contro la diffusione delle armi da fuoco: l'aumento dell'utilizzo dei social network porta ad un aumento dei casi di disociazione dalla realtà, alienazione e via discorrendo. Non riescono a vedere che l'inghippo è nella testa dell'utente già nel momento in cui questi si siede davandi al monitor, Twitter al massimo fa da catalizzatore e velocizza la reazione.
E' come se l'utente vivesse con due microscopi al posto degli occhiali e pensasse che il mondo sia popolato solo da batteri e amebe. L'ossessione spinge il cervello a guardare in modo distorto la realtà, più l'ossessione è grande maggiore sarà la distorsione. Pensiamo ai fanatici di un attore che nel loro delirio credono di avere qualche tipo di rapporto diretto con l'oggetto della loro fissazione. Non si può certo imputare alla tv o alle riviste di alimentare questa ossessione solo perchè pubblicano una recensionde di un film interpretato da quell'attore. Allo stesso modo Twitter può essere incolpato al massimo di essere uno straordinario strumento per reperire un'enorme mole di informazioni, di farlo velocemente e maledettamente bene.

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