Paperi e tapirlonghi



Lo stile è quella cosa che contraddistingue un artista – sia esso un pittore, uno scrittore, un regista – da un altro. Il segno di un'unicità, l'impronta che indica il passaggio di un certo animale creativo invece di un altro. Certo,  facile col tempo imparare a riconoscerlo, uno stile. Uno squalo in salamoia di Damien Hirst, un bambino imbalsamato di Cattelan, una circonvoluzone epigastrica gaddiana, una linea di cristallo infuocato di Calvino, una carezza visiva di Bertolucci, un fraseggio di modernismo romano di Dario Argento. Questione di abitudine e di esercizio, frequentazioni assidue, piccole attenzioni ai dettagli.
La prima volta che ho capito il senso della parola stile avrò avuto dieci o undici anni. Leggendo Topolino c'erano delle storie che, sia pure nell'assenza dell'indicazione del loro autore, avevano un sapore particolare. Storie bizzarre, spesso basate sulla caccia a un tesoro occultato in luoghi esotici. Di solito, la scoperta dell'esistenza del tesoro serviva a strappare Paperone a un periodo di depressione ed era accolta dal nipotame come un'auntetica calamità. La partenza per la spedizione in terre remote avveniva in orari antemeridiani e vedeva l'impiego di bizzarre macchine zoomorfe. In quelle storie il maggiordomo di Paperone, Battista, aveva di frequente un ruolo attivo, mentre a Paperino toccava, sotto la minaccia di lunghi papiri debitori, svolgere i lavori di fatica.
In quei viaggi si incontravano popolazioni esotiche, animali appartenenti a linee evolutive eccentriche. Il tutto con il condimento di strane burocrazie da affrontare, leggi economiche strampalate e ordinamenti di accademie impossibili che, anni dopo, avrei incontrato negli organi antiaccademici della Patafisica.
Il titolo minimo di un luminare, in questi racconti di paperi, era quello di "biprofessore" o "tridottore". Di solito, a separare Paperone da un tesoro era qualche cavillo kafkiano, un rito degno del potlatch, strani tabù che nemmeno Marcel Mauss o Levi-Strauss avrebbero saputo ricondurre a un ordine logico o simbolico. Erano variazioni su un tema costante, portate avanti con l'ostinazione di un'artista che ha capito quale sia la sua strada e la persegue senza tentennamenti. Un Carl Barks preso in un formidabile trip psichedelico, un antropologo della stirpe leggera degli eroi ariosteschi, uno zoologo eccentrico esperto di "besti", un mappatore di tic linguistici da commendatori e da "egregi" in genere. Senza saperlo imparavo a riconoscere uno stile.
A me ora vengono in mente, in quanto a libertà e invenzione comico-fantastica, Popeye e Gargantua. Scusate se è troppo.
L'autore di quelle storie era Rodolfo Cimino, sceneggiatore delle avventure dei paperi, maestro di stile. E sapere che nessun altro racconterà più le gesta dei tapirlonghi fiutatori, dei calabroni bombardoleros e del tridentauro mi rende un po' triste.

Nessun commento:

Posta un commento