Il Dottor Mesmer in gita a Oxford

Tra le periodiche next big things albioniche spiccano in questo momento i Foals, quintetto di Oxford che però ha poco a che vedere con la nobile schiatta dei Radiohead. Ho sentito che per qualcuno sono vicini ai Bloc Party, forse per le chitarre taglienti e per la sicurezza dimostrata in un album di debutto che non ha paura di proporsi come un classico assoluto già dal primo ascolto. Ma Antidotes a me ricorda più i Rapture del primo album o le forsennate ritmiche degli !!! se non fosse che i Foals puntano fin da subito più in alto: poche melodie, ritmi spaccati e cubisti, sequenze che si replicano all’infinito con canzoni che si esauriscono ripetendo pochi versi e trasmettendo un senso di ipnosi e di allucinazione sonora niente male. Mi verrebbe da dire che il David Byrne dei capolavori Talking Heads (Fear of Music, ad esempio) non è troppo lontano, anche se all’atmosfera molto newyorkese-sperimentale (alla consolle c’è infatti lo stregone sonoro dei Tv on The Radio David Sitek, anche se pare che il mixaggio sia stato rifatto dal gruppo) si aggiungono un tocco di sfrontatezza ed eleganza inglesi (e si sente nella pronuncia strascicata del leader, Yannis Philippakis, british purosangue, come si deduce dal nome): cosa c’è di più snob della scelta di escludere da Antidotes i singoli che hanno fatto conoscere la band? Spirito pop e voglie di sperimentazione mescolate in un disco che riesce a essere ostico e irresistibile, scarno e stratificato allo stesso tempo. L’uno-due iniziale, con la strumentale The French Open, dal giro ipnotico e irregolare, e la scomposta energia tutta angoli di Cassius, è uno dei migliori attacchi dell’anno e ci immerge nell’atmosfera aliena del disco. Electric Bloom, venata di elettronica morbida ed echi arcani, assomiglia sì ai Bloc Party, ma con un atteggiamento più introverso e frustrante, dato dal giro di basso e batteria che avanza marziale e la voce che si attorciglia su se stessa senza aprire mai la melodia. Forse c’è qualche momento atmosferico di troppo, ma quando arrivano pezzi come Two Steps, Twice o Tron, balletti magnetici da mesmerizzatori in trip, viene voglia di mettere il disco in repeat a oltranza.

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