Come mosche nella Ragnatela

Difficile non buttarsi nella mischia quando si parla di informazione, per di più di informazione via web. Il campo da gioco è attraente, le regole sono semplici e i pericoli di lesioni fisiche o strutturali irrilevanti.
Inoltre il problema etico della verifica delle fonti, già affrontato nei secoli dei secoli da spie, scienziati, reporter e altri saltimbanchi viene diluito dalla gigantesca quantità delle informazioni presenti. Una cazzata in un oceano di notizie serie ha lo stesso valore di una notizia seria in un oceano di cazzate.
Possiamo stare qui a raccontarcela per ore su come classificare quello che viene messo in Internet, quelli che mettono quello che viene messo in internet, quelli che leggono e quelli che cercano. Il punto è che si tratta di un triste deja vu: un gruppo selezionato di persone crea una realtà parallela, arbitraria e non sempre verificabile (ricorda niente?). Da questa realtà vengono escluse le cose noiose e abbondano invece le cose che piacciono ai suoi creatori. Siccome la faccenda è interessante e dà anche un esaltante senso di controllo (è una realtà addomesticata, mica quella cosa brutta e selvatica che abbiamo intorno!) il gruppo si allarga a dismisura e contribuisce a creare nuova realtà e a validarla autorefenzialmente. Bello. Si può sapere tutto ciò che pensiamo ci serva senza schiodare il sedere dal divano.
Peccato che le insidie siano tante e pericolose. Tanto per cominciare c'è quello che gli statistici chiamano selection bias: pensiamo che quello che troviamo in rete sia una ragionevole rappresentazione del mondo, perché le informazioni sono abbondanti, ma non è così. Il fatto è che questo gigantesco database non è democratico: viene popolato solo da quelli che ne hanno la possibilità e la voglia. E quelli che non ne hanno la possibilità sono tanti, troppi per essere ignorati, mentre quelli che ne hanno la possibilità sono relativamente pochi ma hanno l'impressione di esistere solo loro. Cambierò questo giudizio solo quando un indio dell'Amazzonia o un contadino analfabeta della Namibia potranno aprire un loro blog (sempre che gliene freghi qualcosa).
Secondo: rischiamo di sopravvalutare il nostro potere. Spesso qualche bella causa da difendere cattura la nostra attenzione e decidiamo di scendere in campo: che ci vuole? due minuti per compilare un form di vibrante protesta a “quelli che contano” ed ecco sistemata la questione. Poi possiamo dedicarci con la coscienza pulita ad altri trastulli, paghi di essere stati così sensibili e influenti. Peccato che le mail e gli sms non abbiano la stessa forza di persuasione delle bastonate e della galera. Andateglielo a chiedere ai manifestanti in Birmania. Senza contare che, disponendo di un'idea distorta delle questioni (vedi punto 1) spesso rischiamo di spezzare le lance sbagliate. Meglio lasciar perdere.
Ma il pericolo che ci tocca più da vicino è che mentre siamo impegnati nei nostri giochini virtuali continuiamo pur sempre a vivere nel mondo fisico, fatto di atomi e campi di forza. Da lì non si scappa. Infatti il vero potere ce l'ha chi continua a muoversi nella realtà vera e la cambia secondo le sue convenienze (che non sono quasi mai le nostre). Poi ne cucina una versione digitale che possiamo capire anche noi e ce la spadella nel piatto virtuale. E noi, contenti, la mangiamo pure.

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