Hip-hop-rock: Black and White

Appunti di lettura su Hip-Hop-Rock di Simon Reynolds, tradotto in Italia da ISBN. Come sempre Reynolds è acuto, mai banale negli accostamenti. È un critico che fa davvero critica, cioè prova a tracciare traiettorie e linee di fuga, disegna paesaggi sonori e ipotizza sviluppi futuri. Soprattutto, prende posizione senza paura di sbagliare. In questa raccolta di scritti usciti su varie testate e blog nel corso di circa vent’anni, vengono fuori i suoi gusti e i suoi innamoramenti. E le sue antipatie. Dunque, frammenti di un discorso amoroso di un critico geniale. Che parte, più o meno, dagli Smiths per arrivare al dubstep. In mezzo, c’è un po’ di tutto e ci sono soprattutto molte domande. Intanto il titolo. In originale suonava Bring the noise, da un pezzo dei Public Enemy, e forse in italiano dice più di quanto dicesse l’inglese. Reynolds prova a capire alcune cose. Prima di tutto perché i bianchi hanno così paura dei neri. Nel senso che, per Reynolds, i grandi passi avanti nella musica avvengono quando bianchi e neri si parlano e si mescolano, creando miscugli sonori e beat meticci, quando i ritmi e le pulsazioni black impattano con l’elettricità bianca. Questo, però, non sempre avviene. A volte i bianchi cercano nei neri una forma di purezza originaria, una specie di ribaltamento del senso di colpa post-coloniale (si vedano le pagine cattivissime sulla world music) o una fantomatica ricerca di un “messaggio” di riscatto. Ecco una delle domande di Reynolds: ma non è che i critici prendono un enorme cantonata cercando messaggi “liberal” nelle rime dei rapper, quando invece geni del suono come Public Enemy o LL Cool J in realtà creano immagini maciste e omofobiche, oscillando tra il delirio di onnipotenza e la paranoia? Per Reynolds è importante provare a correggere l’errore di prospettiva senza cercare scorciatoie: il bianco acculturato ascolta la musica nera cercando messaggi e suoni levigati mentre i neri danno energia e vibrazioni. Cerca l’orgoglio nero e le radici quando l’orgoglio si concretizza nel kitsch, nei rolex e nell’immaginario pimp. Per questo Reynolds riconosce la grandezza “sonora” di gente come Dr Dre senza però nascondersi dietro un dito: il successo e il mainstream non sono un effetto collaterale, ma un obiettivo. I gangsta rapper non attendevano lo sguardo dei bianchi per dire quello che volevano dire. Si può essere dei deliranti sostenitori di teorie del complotto bianco e dell’inferiorità della donna rimanendo dei grandi inventori di suoni. Quindi pollice su per il suono che sale dal basso, per l’hip hop trucido e per i grandi alchimisti del beat (da Timbaland ai Neptunes), pollice verso per tutti i tentativi di ripulire e jazzare i battiti, per la levigatezza, per la fusion e per le mescolanze troppo ben dosate. Anche se, altro paradosso, dopo aver aperto la strada sono proprio i grandi innovatori a ripulire le loro intuizioni per sfondare nelle classifiche. Certo però che l’invito ad ascoltare Snoop Doggy Dog, Kanye West e Missy Elliot accanto a Morrissey spiazza parecchio le convinzioni del lettore italiano molto più settoriale e “alternativo”.
(continua)

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